Come percepiamo il nostro corpo digitale

Autore: Biagio Teseo

Il 7 luglio di quest’anno (2020), ho partecipato, come actvist, al secondo evento “virtuale” organizzato da SingularityU chapter di Milano tramite piattaforma online chiamata Virbela. E’ una delle sempre più diffuse piattaforme che permette di organizzare incontri di più persone dentro mondi, spazi, uffici, virtuali, generati con grafica 3D quindi molto immersivi. A tali incontri si può partecipare sia con visori di realtà virtuale (VR) che senza, sacrificando però l’effetto immersione spaziale che altrimenti si ha. Ad ogni modo, la partecipazione avviene in remoto, pilotando (o indossando) un avatar digitale, una copia di se con sembianze più o meno umanoidi (ma anche no).

L’evento ha riscosso un discreto successo tanto da replicarne altri con temi diversi, in questo si è parlato del processo di remote working e di come ha accelerato in modo inevitabile il cambiamento, tra tecnologie che ci consentono di lavorare da casa e robot per la telepresenza.

Ci siamo ritrovati, da più parti del mondo, nello spesso spazio virtuale comune, nella fattispecie in una sala con tante sedie e un grande palco, un teatro per eventi, che ci ha consentito di interagire con gesti e la nostra voce ma anche mostrando video e/o slide su max schermi. Sicuramente un buon modo alternativo per incontrarsi e scambiarsi informazioni come fossimo di presenza.

Young female in casual clothing wearing VR glasses and working with mannequin in parlour.

Da quando il Covid ha paralizzato il mondo si è, dunque, capita ancora di più l’importanza di organizzare riunioni di lavoro ed eventi in modo virtuale sfruttando al massimo il potenziale della rete. Come avviene dopo ogni evento catastrofico, siamo obbligati a rivedere il nostro stile di vita e a modificarlo per non essere spazzati via, forse, da quella che Darwin chiamava evoluzione. La natura e la storia ci hanno insegnato che non vince il più forte ma chi meglio si adatta e in fretta. E’ un giocoforza che in prospettiva ci migliora come società e come esseri umani.

Visto che, ci piaccia o no, dovremo abituarci al lavoro da remoto, cosiddetto smartworking, Facebook e altri attori della scena tecnologica mondiale stanno sperimentando ormai da anni, e ora accelerando, nuovi metodi per collegarci in modo più “naturale” vicino alla realtà e portare tale tecnologia a tutti abbassando i costi e migliorando/semplificando il loro uso proprio com’è avvenuto in passato con i computer e gli smartphone, insomma, tecnologia avanzata for the masses, direi io. Questo sta avvenendo grazie all’evoluzione di una tecnologia non nuova per gli addetti ai lavori, (provai un prototipo di VR negli anni ’90 grazie a un evento della lungimirante Maria Grazia Mattei mentre al cinema davano “Il Tagliaerbe”), una tecnologia che stenta a decollare ma solo perché non è ancora matura da un punto di vista pratico con limiti legati alla miniaturizzazione dei circuiti elettronici, batterie e altri componenti che pian piano stanno migliorando. Parliamo della VR acronimo di realtà virtuale e AR realtà aumentata con dispositivi sempre più “invisibili” e semplici da utilizzare che porteranno la nostra interazione ad un livello superiore. 

La nuova frontiera dunque è quella di potersi riunire in ambienti virtuali e interagire con gli altri partecipanti con il proprio Avatar in 3D, cioè, la rappresentazione digitale del nostro corpo (e non solo).

Fino ad oggi, le varie piattaforme che danno questo servizio, permettono di costruire e personalizzare il proprio avatar con sembianze umane ma con un design in stile cartone animato 3D e molto grezzo, dove ci è possibile scegliere forma del viso, occhi, capelli e in alcuni casi anche accessori vari. Grazie al VR poi ci troviamo immersi in questi mondi con un reale effetto presenza, in prima persona, interagendo con gli altri tramite appositi controller che ci permettono di muovere e, in alcuni casi, anche vedere le nostre mani digitali e il nostro corpo. E’ di pochi giorni fa la notizia che Facebook (che, ricordiamo, anni fa acquistò Oculus, uno dei migliori produttori di visori VR), sta sperimentando un modo per scannerizzare il nostro corpo e creare l’avatar quanto più somigliante a noi così da rappresentarci realisticamente agli altri che ci vedranno così come siamo in realtà, quasi fossimo in video conferenza ma con tutti i vantaggi dell’interattività e della presenza spaziale che regala la tecnologa VR. In sperimentazione c’è anche un’altra tecnologia che abbiamo visto per la prima volta in Star Wars, quella olografica, cioè, la nostra apparizione semitrasparente, nell’aria, come fossimo un fantasma dell’immaginario collettivo, il nostro ologramma costruito da un fascio di luce laser, ma di questo parleremo un’altra volta.

Questo discorso, per focalizzarci su un argomento che tocca sociologia, filosofia, tecnologia ma ancor di più psicologia, gli Avatar. Il termine Avatar deriva dalla cultura induista e veniva usato per dire che una divinità si incarna in un corpo fisico qui sulla Terra.

Cosa succede se un individuo di una certa taglia ad un tratto si ritrova dentro un corpo molto più piccolo? O viceversa?

Tornando alla notizia di Facebook (https://youtu.be/Q-gse_hFkJM), discutendone con un amico, si rifletteva su come scegliere il nostro avatar, realistico o fantasioso? Ho fatto anche un piccolo sondaggio che finisce con un buon 50/50, con i miei amici e colleghi di SingularityU chapter di Milano, con i quali stiamo sperimentando, come detto già, questo tipo di incontri, visto che il Covid ci ha impedito di farne fisicamente. Sicuramente, una parte dipende dall’ambito in cui viene usato. Se facciamo una riunione di lavoro dove conta ancora “l’etichetta” sarà più consono l’avatar realistico mentre per tutto il resto è più divertente quello fantasy e personalizzato. Riporto la discussione fatta con il mio amico Valentino Megale il quale scrive:

<<Ottimo il lavoro di Facebook, ma ugualmente interessante è la domanda: come si comporta il nostro cervello quando viene “embodied”, incorporato, in un avatar totalmente diverso? Quanto siamo il corpo che guidiamo e cosa succede quando questo corpo cambia?>>.

E’ qui che entra il fattore psicologico. Nella vita reale, che forse non lo è nemmeno, noi indossiamo già un avatar, un guscio funzionale e limitato (dalla natura, forse per proteggere se stessa) al contesto in cui dobbiamo vivere. Sviluppiamo fin da piccoli una consapevolezza di noi legata al nostro apparire, a una estetica dipendente anche da canoni antropologici e/o da noi inventati, ci sentiamo come ci vediamo e come pensiamo ci percepiscano gli altri e non sempre questa cosa coincide. Ne viene influenzata anche l’autostima che a sua volta direziona il corso della nostra vita. La società in cui viviamo ha stabilito canoni estetici che vedono “migliori” le persone alte, snelle, simmetriche ecc. e quando ci accorgiamo di non farne parte ci rapportiamo diversamente con gli altri. Cosa succede se un individuo di una certa taglia ad un tratto si ritrova dentro un corpo molto più piccolo? O viceversa? Non parlo di sentirsi più o meno belli ma di come questa forma nuova possa interagire con il mondo circostante in modo diverso da come eravamo abituati e quale impatto psicologico ha tutto questo sulla percezione di noi stessi.

Abbiamo l’occasione di sperimentare corpi nuovi, antropomorfi o persino non umani

Il mondo virtuale, il cyberspazio, rompe queste barriere quando si utilizza un avatar al posto della propria immagine reale o addirittura video. Abbiamo l’occasione di sperimentare corpi nuovi, antropomorfi o persino non umani, che liberano la mente da imbarazzi e dalle convenzioni culturali, permettendo di concentrarci sull’espressione della nostra personalità, quella vocina che ci parla dentro fin dalla nascita. Possiamo abbattere anche barriere razziali, incontrarci e parlare liberamente. Presto, quindi, entreremo nell’era degli Avatar con o senza la realtà virtuale come già stanno facendo i nostri figli con giochi come Fortnite e altre App. Prepariamoci a questa nuova “filosofia”, indossiamo il nostro Avatar migliore e via, verso mille incredibili avventure.

Articolo tratto da StartupItalia – Biagio Teseo