Autrice: Alessia Guarnaccia

La parola “startup”, nel mondo dell’impresa di respiro internazionale, evoca un’epica con i suoi paladini, cantori e storie straordinarie.

Come accade per i poemi epici, i protagonisti (persone e concetti) finiscono per essere simboli ed assumere significati ed insegnamenti con valore generale, travalicando il tempo (e il settore specifico, in questo caso) in cui sono nati.

Parlare di “startup” significa innanzitutto riferirsi alla capacità di visione, all’immaginazione; da sempre la parte più peculiare dell’essere umano, quella che è alla base delle invenzioni, delle innovazioni. «Le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida, visionaria follia.» (Erasmo da Rotterdam).

Capacità di vedere l’invisibile. «Entrepreneurship is an art, not a job…entrepreneurs are artists and I mean “artists” in the true sense of the word: they see something no one else does» Steve Blank.

Una spinta alla creatività che si fonde con l’innato desiderio umano di conoscenza («Semplicemente immagino che sia così, poi cerco di provarlo.» Albert Einstein).

A questa passione, certamente si riferiva Steve Jobs, con il suo sprone a rimanere affamati e follistay hungry, stay foolish»), rivolto ai laureandi della Stanford University, nel suo celebre discorso del 2005: un incoraggiamento a coltivare la propria forza vitale, mantenendo insaziabile l’inventiva e il coraggio di agire.

L’azione e la sperimentazione sono due altri aspetti centrali nel mondo dei significati evocati dalle “startup”. Oltre l’idea, è fondamentale l’esecuzione della stessa. «All innovation begins with vision. It’s what happens next that is critical.» (Eric Ries – “The Lean Startup: How Today’s Entrepreneurs Use Continuous Innovation to Create Radically Successful Businesses”).

Per progettare e governare i processi legati alle implementazioni delle idee, sono stati indicati degli strumenti specifici come il Business Model Canvas, un “canovaccio” costituito da nove elementi base/blocchi (building blocks) che fungono da guida per definire il proprio modello di business. «Un Modello di Business descrive la modalità attraverso la quale un’organizzazione crea, distribuisce e cattura valore» (Alexander Osterwalder – “Business Model Generation: A Handbook for Visionaries, Game Changers, and Challengers”).

Dunque una “tela” su cui disegnare il proprio modello, per comprenderne profondamente le dinamiche, ma anche una mappa per governare i cambiamenti in un’ottica di miglioramento continuo. Centrale in questo schema è la capacità di poter cambiare strategia a seguito di test sul campo (pivoting). «Un pivot rappresenta una correzione strutturata della rotta, progettata per verificare una nuova ipotesi fondamentale, relativa ad un prodotto, una strategia, o un motore della crescita», «’Pivot or Perserve’ decision is made once the company gets through a Build-Measure-Learn feedback loop» (E.Ries).

In questo processo iterativo ha un ruolo rilevante la costruzione di un cosiddetto Minimum Viable Product (MVP) ovvero la «versione di un nuovo prodotto che consente ad un team di raccogliere la massima quantità di conoscenza validata sui clienti con il minimo sforzo.», opportunità per ottimizzare soprattutto la proposizione di valore (value proposition) correlata alla propria offerta. «The ability to learn faster from customers is the essential competitive advantage that startups must possess.» (E.Ries).

Due caratteristiche fondamentali del tipo di business model di cui si parla, sono la ripetibilità e la scalabilità, tanto da fungere da discriminante per la definizione stessa di startup («a startup is a temporary organization designed to search for a repeatable and scalable business model.» Steve Blank).

La scalabilità, in particolare, porta alla crescita veloce («una startup è una società concepita per crescere velocemente» Paul Graham) e, in generale, soprattutto questa capacità di saper agire nella velocità, rende la “startup” adatta a scenari in cui domina l’incertezza («my definition of a startup: a human institution designed to create new products and services under conditions of extreme uncertainty» E.Ries).

In una tale prospettiva, si definisce con precisione anche l’approccio al fallimento, visto come necessaria fase del ‘metodo scientifco’ descritto: se non si fallisce, non si impara.(«This is one of the most important lessons of the scientific method: if you cannot fail, you cannot learn.» Eric Ries).

Questo universo di pratiche e significati può essere trasposto in qualsiasi contesto si agisca. («Entrepreneurs are everywhere. You don’t have to work in a garage to be in a startup…» Eric Ries).

Viviamo un’epoca in cui tecnologie sofisticate e in rapida accelerazione, sono distribuite attraverso piattaforme globali a costi sempre più accessibili: ciò sta consentendo un’esponenziale opportunità di conoscenza e la nascita di nuovi tipi di aggregazioni di persone e competenze, in grado di comportarsi in modo agile, all’occorrenza.

In Italia, in particolare, questo fenomeno si confronta con un ecosistema già molto vario e ricco. Senza contare i liberi professionisti, «le microimprese (quelle con meno di 10 addetti) sono 4,1 milioni e rappresentano il 95,2 per cento delle imprese attive, il 46,1 per cento degli addetti e il 29,3 per cento del valore aggiunto realizzato» (Istat – 25 mar 2019). Numeri che concorrono a formare il totale europeo delle piccole e medie imprese che, come indica la Commissione Europea «costituiscono la spina dorsale dell’economia dell’UE».

Piccole e medie imprese che, a loro volta, partecipano a «catene del valore complesse e globali, contribuendo alla formazione dei loro vantaggi competitivi attraverso soluzioni flessibili e diversificate» (fonte).

Dunque uno scenario governato da processi di integrazione di filiera sempre più importanti e che necessitano di procedure flessibili e veloci di open innovation con soggetti anche molto differenti tra loro per dimensione, età, tipologia.

In un panorama di questo tipo appare centrale l’urgenza di costruire infrastrutture adeguate che aiutino non solo l’incontro, ma anche il dialogo nel tempo, tra i vari attori interessati, così da definire prospettive in cui forme d’impresa più “agili” possano trovare una collocazione anche come vettore di innovazione verso realtà imprenditoriali già mature e viceversa, ricevere insegnamenti e nuove prospettive che solo l’esperienza può offrire.

Infrastrutture digitali e fisiche che agevolino i trasporti di persone, dati, cose.

Strumenti legislativi in grado di semplificare il ginepraio di norme e rendere più semplici i rapporti tra le persone, fisiche e giuridiche, e con lo Stato. Capitali di rischio e strumenti di finanziamento in genere, che possano gestire anche prospettive temporali più lunghe e avere alta capacità di valutazione economica degli asset immateriali. Strumenti che siano in grado di essere utilizzati anche da soggetti che, partendo da zero, non si ritrovano in forme organizzative fortemente strutturate (presenza di personale dipendente etc.). Luoghi, digitali e fisici, di incontro che siano aperti e praticabili da quante più persone possibile.

Azioni che agevolino la costruzione di una “cultura dell’intrapresa” accessibile a tutti e in tutte le fasi della vita. Così da aggiungere uno strumento per applicare un diritto umano fondamentale: quello che ognuno di noi ha di trovare ed esprimere se stesso in un’ottica di valore per sé e per la società.

Link iscrizione evento: https://singularityumilan.com/incontro33

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